Archivi categoria: Recensioni

Nizza: che delusione al Restaurant del Licée Jean Paul Augier

jEAN PAUL AUGIERAnni addietro insistetti con Raspelli per portarlo al liceo alberghiero di Nice. Ed egli ne fu talmente entusiasta da dedicargli l’articolo di cui sopra,  addirittura sulla prima pagina de La Stampa che concludeva, con l’augurio che un giorno fosse venuto qui, a ispirarsi,  il nostro Ministro del Turismo!

Ci sono tornato nei giorni scorsi: l’ambiente è un po’ trasandato, l’accoglienza è stata così così, il menu fisso viene declamato solo a voce e le ricette non sono invitanti; si respira anche una certa tensione in sala… Unico particolare positivo: la carta vini ben fornita. Ho pagato 15 euro e sono uscito appena possibile rinunciando al dessert.

Certo, si sa che in una scuola alberghiera non si può pretendere la perfezione, anzi io son venuto qui per respirare nuovamente quel pathos d’insieme tra ambiente+ cucina + insegnanti + allievi del quale avevo goduto più volte anni addietro, ma non è stato più così:  un cambiamento in peggio che mi è proprio dispiaciuto.

Speriamo che i prossimi lavori di rinnovamento (6,5 milioni) portino aria nuova all’insieme…

La recensione. Ristorante Il Mangiarino di Albenga

10 2016 (17) - Copia                                       Albenga – IL MANGIARINO

Via Mariettina Lengueglia, 49  – Tel. 392 775 4635

Una preziosa “soffiata” dell’amica … RadioMarmitte mi ha segnalato la novità ed eccomi qui, pronto per i 4 “Rivieraschi” che vorrebbero sempre delle novità. Parcheggiato fuori del centro storico, eccomi giunto al ristorante con l’aiuto, tra un vicolo e l’altro, di qualche gentile cicerone. E’ però facile trovare il locale che è posto nei pressi sotto la torre (retro del battistero). In un gomito del vicolo, sotto una graziosa insegna artistica variopinta ma praticamente illeggibile, fa da “richiamo” uno spazio esterno di tre tavoli con candele e una grande lavagna con i loro piatti. La cuoca-patronne è Mirella Porro, dal 1986 a oggi alla Cittadella di Zuccarello, poi a Laigueglia, poi al Baia del Sole di Alassio, poi insegnante all’Alma di Marchesi  e, finalmente, oggi tornata alle professionali origini rivierasche. Il minuscolo locale di sei tavoli per max una ventina di persone è intimo, luminoso, mobili azzurri, sedie multicolori come le tovaglie con preziosi pizzi realizzate dalla mamma di Mirella (però con tovaglioli in carta sintetica), “careghe” comode con cuscino, vetrinetta dei distillati, bicchieri incisi, musica di sottofondo “giusta” per qualità e volume. I clienti sono discreti e ne ho notato qualcuno habitué ai buoni ristoranti che, evidentemente, stanno apprezzando questa alternativa fa qualità e convenienza rispetto agli usi diversi della movida estiva della costa.

Ma andiamo per ordine. In carta: salmone marinato all’aneto e salsa dolce forte (€ 12), insalata di polpo, sedano, papaya, pinoli, olive Taggiaschee capperi. Sono due antipasti che indicano d’acchito che anche con dei classici si può sobriamente sorprendere. Nei primi i ravioli di borragine all’extravergine, maggiorana fresca e scaglie di ricotta marzotica (salata a secco) diventano irresistibili grazie anche ai pistacchi tostati (€ 10). Quanto agli spaghetti freddi serviti con caviale (€ 16) io non li ho assaggiati ma in carta è scritto apertis verbis che sono “il piatto del cuore di “Gualtiero Marchesi”, facile da incontrarsi a questi tavoli. In questa stagione non ho voluto assolutamente perdermi la crema di zucca Mantovana con caldarroste vincotto e crostini (€ 10), un piatto da solo merita … tutto.

Nei secondi meglio farsi consigliare circa il pescato del giorno che verrà preparato con zucchine trombette, pomodori confit e maggiorana, ma sono da segnalare anche i calamari grigliati, con patate, scorza di limone olive taggiasche ed erbette liguri (€ 15). La carta dei cinque dolci (€ 7) offre diverse suggestioni, ma certo a quella del tortino di pesche e amaretti, crema zabaione e gelato alla vaniglia è difficile resistere, anche se una mousse al cioccolato accompagnata da pere al vino rosso può esser altrettanto tentatrice.

La carta dei vini è ancora “giovane” (23 etichette), ma crescerà, crescerà! Per ogni vino è riportata la preziosa indicazione della gradazione alcoolica; sette bottiglie vengono servite anche a bicchiere (€ 4). Quasi tutti i vini rientrano nella fascia di prezzo fino a 20 euro. C’è poi disponibile una chicca: lo Champagne Gregory Michel Maillard che, a 40 euro, dimostra che la politica dei ricarichi ha il massimo rispetto del nostro portafogli.

La bella cucina è a vista; gli addetti sono tre in cucina e uno in sala, più la patronne che dirige la cucina ma segue e serve anche la sala. L’atmosfera è calma, i tempi d’attesa “giusti”, il garbo d’insieme garantito e anche la clientela ha toni tanto discreti che i soffitti a volta NON riverberano, salvo che qualche solingo fraternizzi con altri tavoli. Una casa con dei bei giorni davanti, per la gioia dei clienti che da sempre l’attedevano: bentornata Mirella!

 

La recensione: a Imperia ristorante Dalla Padella alla Brace

dalla padella alla brace - Copia                         IMPERIA Oneglia –  Dalla Padella Alla Brace

Via Ospedale 31 – Tel. 0183 294159

www.dallapadellaallabrace.com

Nella zona pedonale a pochi metri dai riparati portici sabaudi di Oneglia, le suggestioni della carta di questa trattoria sono esposte ancor prima dello scalino che immette nel locale: “Menu degustazione: 1) Brandacujun, 2) Troffie al pesto, 3) Pesce al forno. Totale 25 euro”! Molti passanti prenotano, io tra questi, per la sera stessa, quando non ci sarà problema di parcheggio nei dintorni. Ecco quindi un ambientino da apprezzare senza fretta, moderno, quasi spartano, gradevolmente informale e accogliente, con soffitto in legno e pavimento in parquet scuro. Le sale sono due più uno spazio esterno coperto e sono quasi sempre complete di eterogenea clientela locale che viene qui anche nelle serate di meteo avverso, ma anche di qualche straniero come quello che stasera è entrato domandando: “Can I eat brandacujun?!”. E’ quindi prudente prenotare sempre. Appoggiato il giubbotto alla comoda sedia, trovo al tavolo una lastra di ardesia grezza che si direbbe sostituisca la tovaglietta che vedo ad altri tavoli, c’è anche  un set per olio-aceto-sale-pepe e, appena seduto, eccoli pronti a servire l’acqua e anche un generoso cestino con pane e focaccine calde calde, rincalzate più volte senza attendere che terminino  anche le fette di pane (non come quasi tutti i ristoranti liguri nei quali, se non finite il dissuasivo pane a fette, “potete morire” , oppure anche abbronzarvi se c’è il sole, prima che vi portino altra focaccia. I piccoli tovaglioli color bordeaux sono sintetici ma resistenti.

La rassicurante sosta è completata da un’accoglienza garbata/spigliata insieme e da un servizio che non perde un colpo ma non vi assilla.

Il grill troneggia nella sala “di là” e la sua carta prevede sette titoli, a partire dalla bruschetta con pomodori basilico origano, formaggio e Taggiasche  (€ 4), seguita da altre sei proposte di carni, formaggi, vegetali, dagli 8 ai 18 euro; questi ultimi necessari per la grigliata mista di carne, salsiccia,  pezzi pregiati di Fassona della macelleria La Granda o Oberto-Alba, senza che manchino anche alcune rostelle. Nella carta “normale” sono invece disponibili: Brandacujun, tapenade e pane Carasau (€ 10), ma anche un vegetarianissimo flan di broccoli e fonduta di Brigasca o Toma d’alpeggio (€ 8). Le porzioni sono generose anche nei sei primi piatti, tra i quali un minestrone alla genovese “da nonna” (€ 9), oppure gli gnocchi alle Vongole Veraci (€ 14); nel caso c’è anche pasta senza glutine con condimento a scelta. Nei secondi c’è in carta il polpo, annunciato cotto a bassa temperatura, ma rosolato in padella e servito su bietoline sbollentate, passata di Fagioli di Conio e salsa rossa piccantina (€ 15). Nelle carni il coniglio alla Ligure stufato al Rossese e patate al forno è servito disossato (€ 13). nIl menu degustazione invece non prevede il dolce: basterà aggiungerlo (€ 6).

Per i vini, al “ping” “Non avete vini stranieri?” il “pong” è stato pronto: “Riusciamo a lavorare tenendo solo italiani”.Tieh! Guarda qui, ben  cento etichette disponibili con  ogni scelta. Anche cinque a 9 euro e molte altre, ben assortite, che hanno prezzi “calmi”. Qualche particolarità? Un Petit Manseng igt del Casale del Giglio (€ 16),  un Aglianico Taurasi “Albertus” docg a 30 euro e infine anche due vini Vegani, di Teo Costa a 17 euro.

La clientela è solitamente calma e mi pare non annoveri i soliti rumorosi boccaperta “magni-loquenti” da trattoria. Definirei la casa un “cenacolo rilassato” per golosi, cultori anche del buon vino, comodo, in pieno centro, che invita a uscir di casa, o anche a fermarsi qui per chi esce tardi e stressato dai molti luoghi di lavoro dei dintorni, per ritirarsi poi “rigenerato” da una buona cena a prezzi da amici.

La recensione: Ristorante La Kambusa Sanremo

4 10 2016 (32) - Copia                           Sanremo – Frazione Bussana – LA KAMBUSA

Via al mare 87 – Tel. 0184 514537

Siamo a Sanremo ma sul lungomare del Capo di Bussana, dove qualunque vento che non soffi da nord, porta il salmastro dalle onde da pochi metri sottostrada. Conseguentemente, proprio come alla genovese Boccadasse, le porte del locale con tendine all’uncinetto, sono a due ante e talmente strette da dover entrare di fianco; è l’antica Liguria dei marinai e dei pescatori che ormai non esiste più. Superato il banco d’ingresso con decine di bottiglie, ecco la sala rustico-chic piacevolmente demodé, con pareti bianche al grezzo, travi possenti in legno scuro a soffitto, qualche quadro e anche attrezzami terragni di cucina ligure. E poi tavoli e sedie solidi, come tradizione comanda, stupendo tovagliato bianco (ormai stoltamente inconsueto in molti locali che scimmiottano i locali inn dei cineamericani). Belle mise en place alla quale non manca una vera candela appuntita (anche questa ormai una rarità presso “i razionalisti” della ristorazione. Continua la lettura di La recensione: Ristorante La Kambusa Sanremo

Considerazioni terribili sul Louis XV Alain Ducasse a Montecarlo sul sito Atabula

La sala del Louis XV – Alain Ducasse l’Hôtel de Paris MontecarloLa salle du restaurant Louis XV - Alain Ducasse à l'Hôtel de Paris

“C’est troublant un restaurant de palace. Tout doit y être « plus » ou « mieux » qu’ailleurs, léché de partout, parfaitement scénarisé, un ballet cadencé et réglé au millimètre, où l’on s’étonne presque quand le serveur se met à vous parler, de peur que l’orale grammaire dénote du sourd langage corporel.”

Così scrive il Sito Atabula che prosegue: “C’est que dans un palace, même la convivialité est sous-pesée : le degré d’humanité est surveillé sur le thermomètre des bonnes manières. La table de palace est un ovni, une entité hors-sol apatride dont l’objectif est de séduire une clientèle issue d’un même moule, biberonnée aux mêmes valeurs, qui se retrouve à Paris-Monaco-Courchevel avec la même insolence indolente. Mais de quelle séduction parle-t-on ? Une séduction de palais bien évidemment. Reste à savoir si c’est celle qui flatte les papilles oui celle qui flatte l’égo. Aujourd’hui, mange-t-on réellement mieux dans un restaurant-écrin à la précision horlogère et au prix assassins par rapport à tous ces « petits » restaurants tenus par des chefs – souvent issus d’ailleurs de ces grandes tables – qui ont su prendre le meilleur – qualité des produits, techniques culinaires – tout en y ajoutant le sel de la convivialité ? La réponse est dans la question…


 

Troublant donc. Car pourquoi alors se rendre encore dans un tel restaurant, y débourser une somme certaine pour y vivre une expérience hors-sol ? Probablement parce qu’il y a chez le mangeur un minimum curieux l’éternel espoir d’une rencontre impromptue, une rupture dans la super structure capable de vous faire basculer dans un autre monde. Disons-le, il n’y a pas eu de remake de Rencontre du troisième type au Louis XV de Monaco*, mais il serait faux de dire qu’il n’y a rien à retenir de l’expérience. Essayons d’oublier rapidement la décoration de la salle – décalage raté entre l’ancien et la modernité revue par le duo Jouin-Manku – et un éclairage mortifère (préférer la lumière du jour). À oublier également les cinq petites bouchées de poissons en amuse-bouche, qui collent au galet chauffé comme une moule à son rocher. En revanche, la suite du repas a atteint par épisode le sommet du rocher monégasque. La montée en puissance a commencé avec la fraicheur des « Gamberoni de San Remo, fine gelée de poisson de roche, caviar », confirmé avec la puissance automnale du « Cookpot de millet, champignons sylvestres et chou plume ». Accélération rapide du palpitant avec le « Loup de Méditerranée au fenouil, agrumes du Mentonnais », un plat d’une rare vivacité, mélange équilibré de rondeur et d’aspérité. Plus sage mais aussi plus puissant, le « Lièvre de Beauce rôti à la royale et en civet, betterave, poire et kaki » se révèle irréprochable. Quant à la « Poire Passe-Crassane, granité et crème glacée bergamote », elle permet de terminer sur une jolie note sucrée, gentiment modeste, évitant l’écueil du pâtissier qui cherche à en mettre plein les yeux sur un seul service.


plat-ducasse-monaco

« Loup de Méditerranée au fenouil, agrumes du Mentonnais », un plat qui ne fait pas dans l’esthétique, mais qui percute en bouche : vivacité, mélange parfait de rondeur et d’aspérités


Paradoxalement, pour bien vivre le Louis XV, il faudrait fermer les yeux, oublier le cadre, se défaire du toujours « plus » et « mieux » pour se recentrer sur une assiette qui ne manque ni de caractère ni d’engagement. Autrement dit, oublier qu’il s’agit d’un restaurant de palace, et remettre au centre de l’expérience le culinaire, tout le culinaire, rien que le culinaire. En cela, le Louis XV est une très grande table.”

* Le nom exact du restaurant est désormais Louis XV – Alain Ducasse à l’hôtel de Paris”