Oggi 18 giugno la Francia commemora gli 80 anni del discorso alla radio BBC del Generale De Gaulle, diffuso appunto in Francia 80 anni or sono, che portò alla nascita della Resistenza Francese ed alla liberazione della Francia dall’invasore tedesco. E su Nice Matin, che dedica all’evento ben 5 pagine, compare in prima pagina la pubblicità del Casinò di Sanremo.
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Il turismo verso la Francia? Forse ci sarà una proroga del blocco fino a metà giugno
Nel frattempo l’Amministrazione de La Métropole ha messo la mascherina persino alla statua di Apolloin Piazza Massena a Nizza. i Francesi cercano di prendere il momento con un po’ di humor.
Consumare prodotti nazionali ed evitare il turismo all’estero : una soluzione o no?
Si moltiplicano un po’ su tutti i media gli appelli a consumare prodotti italiani, scegliere per le vacanze viaggi in Italia etc etc …. . Ma anche i media stranieri lanciano lo stesso appello, in particolare in Francia. Ad esempio se in Francia andranno meno Italiani, ma in Italia verranno meno Francesi… la somma algebrica dei ricavi del turismo potrebbe variare di poco il “saldo” positivo o negativo … Lo stesso vale per l’autarchia di tutte le nazioni rispetto a prodotti di importazione. Con possibilità di un certo terremoto sui prezzi oggi calmierati naturalmente dalla concorrenza causata dell’import/export …. Speriamo bene e, in questi tempi di austerità consoliamoci con il soprastante trafiletto de L’Illustrazione Italiana del 1936, che invitava gli Italiani al grande piacere di un solo pasto al giorno tirando la cinghia grazie alle benvenute “sanzioni” comminate all’Italia (il pane si otteneva con la tessera). Ma poi rifacciamoci subito clikcando sul seguente link
C’è un nesso tra Pandemie e zootecnia industriale con uso eccessivo di antibiotici ?!
Ricevo e sintetizzo un intervento di Kurt Schmidinger, scienziato e geofisico, membro del comitato scientifico della Fondazione Albert Schweitzer :
Quasi tutte le pandemie sono state e saranno originate da prodotti di origine animale o allevamenti di animali destinati al consumo. Ci sono rischi pandemici a causa dell’allevamento industriale. L’Organizzazzione mondiale della sanità (OMS) ha messo in guardia, ipotizzando che il 70-80% degli antibiotici sia utilizzato in allevamenti in tutto il mondo, e solo il restante 20/30% nella medicina umana. E tra il 2010 e il 2030 è prevista anche una crescita globale degli allevamenti. Gli antibiotici somministrati permanente favoriscono l’adattamento e la resistenza dei batteri.
Recenti analisi mostrano che i cosiddetti virus RNA del regno animale costituiscono la maggior parte dei patogeni emergenti per l’uomo. L’influenza aviaria e suina, virus Nipah, Ebola, HIV e altre hanno origini zoonotiche.
L‘allevamento industriale è particolarmente pericoloso per lo sviluppo di virus influenzali e altri agenti patogeni. Miliardi di animali in gabbia producono enormi quantità di escrementi, che possono contenere grandi quantità di agenti patogeni e che vengono smaltiti in seminativi o nelle acque sotterranee. Questa è un’altra fonte di infezione, anche per gli animali selvatici stessi. I dati dell’OIE (World Organization for Animal Health) per la fine del 2005 e l’inizio del 2007 hanno mostrato che la probabilità di focolai di influenza aviaria negli allevamenti di pollame con oltre 10.000 animali era circa quattro volte superiore rispetto alle aziende più piccole
Mercati di caccia e fauna selvatica
Il fatto che il nuovo virus corona SARS-CoV-2 e quindi l’attuale pandemia di COVID-19 provenga da un mercato faunistico (un cosiddetto “mercato umido”) a Wuhan, in Cina, è attualmente quasi certo. Ancora una volta, l’ingabbiamento di animali e il consumo dei loro prodotti è la causa più probabile di una pandemia che sta mettendo a dura prova la salute e l’economia della popolazione globale.
L’articolo prosegue indicando qualche soluzione… Il link è: https://thevegetarianchance.org/2020/04/28/pandemie-e-consumo-di-prodotti-animali-il-nesso/
Come e quando è nato l’uso del “MENU”
“L’uso del menu scritto su cartoncino, depliant, carta più o meno elegante, dalle forme più bizzarre si è sviluppato in Francia e poi in Italia soltanto nella seconda metà dell’800. Già al tempo degli Assiri si usava compilare la lista dei piatti del giorno che veniva trascritta su pagine di argilla. Nel banchetto di nozze di Gian Galeazzo Sforza del 1489 un anonimo milanese scrisse e stampò un “poemetto-menù”, prima “carta” dell’incunabolo. Dopo la rivoluzione Francese le antiche hostellerie, le taverne, gli auberge per i nobili, subiscono notevoli cambiamenti e si preparano ad accogliere la nuova borghesia. I servizi offerti vanno precisati, il numero dei coperti aumenta e il menu diventa indispensabile per elencare i prezzi e le portate, la successione, la dizione delle portate corredate dal nome (a volte anche la data), dal luogo e dalla specifica occasione. Nei pranzi ufficiali l’ordine delle vivande è regolato da un codice consolidato con l’esperienza dello chef incaricato.
Il celebre Auguste Escoffier, nel suo “Libro dei Menu” del 1912 scrive che il sostantivo “menu” ha due significati. Il primo è il programma del pasto, il secondo indica il cartoncino sul quale il programma è trascritto, posto davanti a ciascuno dei commensali acconto al piatto.
La diffusione del menù si è avuta quando nei pranzi ufficiali dei regnanti e dei nobili, si passò dal servizio “alla francese” a quello “alla russa”. Nel primo tutti i cibi venivano posti al centro tavola con effetto scenografico e i valletti ne servivano poi i cibi preferiti dal commensale. Tutto era sotto gli occhi di tutti e non serviva nessun elenco; ma nascevano però dei problemi in cucina per garantire il servizio anche a giusta temperatura. Nel 1810 un ambasciatore dello Zar Presso Napoleone, offre un pranzo facendo accomodare gli ospiti ad una tavola riccamente apparecchiata con porcellane, pizzi, calici, fiori, candelabri d’argento, però senza vivande visibili. Quando il padrone di casa diede ordine di iniziare il pranzo le varie portate arrivarono in tavola gradatamente, ad una ad una, in una logica successione.
Da quel momento i pranzi ufficiali seguirono questa strategia definita “alla russa” che consentiva di servire prelibatezze in tempi reali e il menu scritto diventò necessario.
I menu in Europa, nell’ Ottocento, per le classi sociali medio-alte erano scritti esclusivamente in francese (ciò succedeva anche al Casinò e nei Grand Hotel di Sanremo – ndr). In Italia la tendenza cambiò grazie a Vittorio Emanuele III che, in occasione del pranzo di gala offerto a Roma il 22 dicembre 1907, incaricò una commissione dell’Accademia della crusca e di altri glottologi, per trasformare i termini della gastronomia francese in corrispondenti termini della lingua italiana. Così il menu divento “la lista” o “la minuta”. Tuttavia ancora oggi vale il termine “menu”.
Nel tempo, pittori rinomati, esperti di manifesti e illustrazioni, compagnie di navigazione etc… offrivano in omaggio a ristoranrti e alberghi dei menu molto belli. Esiste anche un libro titolato “I Menu del Quirinale”, offerti nelle occasioni importanti dei nostri regnanti e dai nostri Presidenti della Repubblica.”
Luigino Filippi, estratto per gentile concessione dell’autore RENZO PELLATI de “La storia di ciò che mangiamo” – Daniela Piazza Editore