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La ristorazione: in cucina creare? Copiare? Chi interpreta piatti altrui, E’ un innovatore? un artista? O uno scimmiottatore?

l Le olive sferiche di Ferran Adrià

“I cuochi non vivono ai margini di una società la cui cultura del cibo è (sempre) più liquida, mutevole, globalizzata e uniforme ogni giorno…

Il problema si presenta quando la mimica finisce per generare paesaggi gastronomici noiosi e poco entusiasmanti….

Le idee davvero nuove sono molto costose? Bene, facciamo ricorso a quelle degli altri… Il problema è se tutti vogliono essere un autore ….

 Bene, se è ancora possibile e consigliato assaporare i concerti di Brandeburgo o la Traviata oggi, perché dovremmo rinunciare all’Iskandar Kebab o al caviale Gelée à la crème de chou-fleur?

Ovviamente, può essere molto più difficile, utile, prezioso e, sì, anche creativo, interpretare che comporre….”

È stato appena pubblicato un libro davvero interessante che recensisce un buon numero di piatti che possono essere considerati capolavori.

Questi sono alcuni brano tratti da un interessante articolo che ho tradotto da “La Vanguardia”, un sito spagnolo. Per leggerlo al completo il link è il seguente: https://translate.google.com/translate?hl=it&sl=es&u=https://www.lavanguardia.com/&prev=search&pto=aue

Riflessioni post confinamento: il cibo economico, alla fine è il più costoso….

Il confinamento, che ha stravolto abitudini e limitato libertà, ha anche messo l’opinione pubblica e i governi di fronte a verità scomode e fino a poco tempo prima snobbate in nome di uno sviluppo economico non sostenibile.

🌎 Gli allevamenti intensivi di animali immettono nell’atmosfera più polveri sottili del traffico veicolare.

🌎 Nei mattatoi come dimostrano i casi eclatanti in Usa e Germania, lavorano persone sfruttate ed esposte al contagio senza garanzie per consentire un’offerta di carne a basso costo

🌎 Un sistema produttivo centralizzato studiato per essere economico è in realtà fragile e una volta inceppato può essere causa di penuria di generi alimentari. Stava succedendo negli Usa. Lo ha spiegato Michael Pollan in un suo intervento.

🌎 Il rapporto tra consumatori e produttori locali è fondamentale per garantire cibo di qualità, a km 0 e salvaguardare la biodiversità contro le monoculture intensive, che impoveriscono i suoli e richiedono ampio uso di pesticidi e fertilizzanti

🌎 Gli animali d’allevamento possono essere facilmente veicolo di nuovi contagi come dimostra il nuovo G4 virus scoperto recentemente in Cina e che deriva dall’influenza suina del 2009

🌎 La resistenza agli antibiotici (10mila morti all’anno in Italia, 33mila in Europa. Fonte ISS) può essere la prossima emergenza. Nella carne degli animali gli antibiotici sono presenti in gran quantità e chi la consuma li ingerisce inconsapevolmente

🌎 La carne economica è molto costosa. Per l’ambiente, per la salute. Il suo prezzo al dettaglio non è reale e deve salire

🌎 I prodotti vegetali semplici o trasformati in modo salutare possono sostituire quelli animali soddisfando anche il gusto

🌎 L’emergenza climatica non può che far aumentare i rischi di pandemia stravolgendo gli equilibri della natura come avviene, ad esempio, con l’erosione del permafrost, la desertificazione, la distruzione delle foreste e con esse dell’habitat di milioni di specie viventi

🌎 La globalizzazione deve diventare un’alleanza di popoli per preservare il Pianeta e non una porta aperta a speculazione e sfruttamento dell’uomo sull’uomo e dell’uomo su animali e piante.”

Il pezzo di cui sopra, si conclude con le riflessioni di SAFRAN FOER che potete trovare sul seguente link: thevegetarianchance.org/2020/07/02/il-confinamento-insegna-il-cibo-economico-e-costoso/

Il risotto alla milanese ? Ha origini Ebraiche e anche arabe…

L’ingrediente caratteristico del risotto “alla Milanese” è lo zafferano (da non confondersi con certe “barbe fini” di barbabietola con il quale oggi viene talvolta banalmente sofisticato ). Lo zafferano è una spezia originaria della Persia, dove si chiama “zafaran”, già utilizzata dal popolo ebraico (cucina Kosher) e diffusa dagli Arabi prima in Spagna, poi in Sicilia. Come si è arrivati a chiamarlo “alla Milanese”?  Secondo l’esperto in scienza dell’alimentazione Renzo Pellati (*), la leggenda  e anche alcuni documenti scritti, dicono che nella seconda metà del ‘500  lavorava alle vetrate del Duomo il pittore fiammingo Valerio de Perfudavalle (detto anche Valerio di Fiandra) .  Il Maestro Valerio, pur essendo abile nella sua arte, aveva un debole per i boccali di vino e sovente lasciava i pennelli al suo garzone. Costui riusciva a ottenere effetti meravigliosi con lo zafferano (un colorante allora usato soltanto in tintoria e in alcune riparazioni galeniche per attività medicamentose), per dare ai dipinti l’effetto del giallo-oro a quei tempi moto apprezzato. Per questa abitudine di usare lo zafferano, colorante giallo-oro, il garzone-pittore veniva chiamato “zafferano” e il Maestro Valerio ripeteva convinto di dire una enormità: “ Un giorno finirai per mettere lo zafferano anche nel risotto”. Quando nel 1574 il garzone sposò la figlia del Maestro, i compagni fecero al neo sposo lo scherzo di offrire riso colorato allo zafferano e la novità ottenne subito un grande successo.

Pare che sia stato un frate Domenicano, un certo Santucci, inquisitore nella Spagna di Filippi II, a portare nella natìa Aquila i bulbi di zafferano (tuttora coltivati nell’altipiano di Navelli) sfidando leggi molto severe (prigione e morte) per chi tentava di esportarli al di fuori della Spagna. I botanici chiamarono la pianta “ Crocus Sativus” in memoria del mito di Croco che, in seguito all’infelice amore per la ninfa Smilace, fu trasformato in zafferano (ancora oggi coltivato a nella greca Krokos). Oggi si sa che lo zafferano contiene un glucoside che a contatto con l’acqua libera una sostanza colorante (crocetina) che conferisce un caratteristico colore giallo che ricorda, appunto, l’oro antico nonché un particolare aroma.

Questo colpì la fantasia  dell’uomo (si credeva che l’oro facesse bene al cuore) che lo utilizzò per tinture, tessuti, bevande (liquore Strega), la “bouillabaisse” francese, alcuni formaggi pecorini (come il Piacentino), la paella e… anche il Risotto alla Milanese.

(*) ringrazio Renzo Pallati per il consenso alla presente pubblicazione tratta da “La storia di ciò che mangiamo” – editore Daniela Piazza.

Consumare prodotti nazionali ed evitare il turismo all’estero : una soluzione o no?

Si moltiplicano un po’ su tutti i media gli appelli a consumare prodotti italiani, scegliere per le vacanze viaggi in Italia etc etc …. . Ma anche i media stranieri lanciano lo stesso appello, in particolare in Francia. Ad esempio se in Francia andranno meno Italiani, ma in Italia verranno meno Francesi… la somma algebrica dei ricavi del turismo potrebbe variare di poco il “saldo” positivo o negativo … Lo stesso vale per l’autarchia di tutte le nazioni rispetto a prodotti di importazione. Con possibilità di un certo terremoto sui prezzi oggi calmierati naturalmente dalla concorrenza causata dell’import/export …. Speriamo bene e, in questi tempi di austerità consoliamoci con il soprastante trafiletto de L’Illustrazione Italiana del 1936, che invitava gli Italiani al grande piacere di un solo pasto al giorno tirando la cinghia grazie alle benvenute “sanzioni” comminate all’Italia (il pane si otteneva con la tessera). Ma poi rifacciamoci subito clikcando sul seguente link

: https://www.youtube.com/watch?v=nzEmlPjtQPsc

Quel che mangiamo, storia, leggende, notizie, curiosità: IL TIRAMISU, DOLCE A … LUCI ROSSE

Il Tiramisù più lungo del mondo

“ La paternità del “Tiramisù, il dolce più famoso d’Italia, è contesa fra molti. L’autorevole mensile dell’Accademia Italiana della Cucina “Civiltà della Tavola” scrive che il Tiramisù ha origini nobili, dato che prevede ingredienti particolari come il caffè e il cioccolato (oltre al tuorlo d’uovo, zucchero, vino bianco e biscotti savoiardi).

La nascita è dovuta a un evento particolare: la visita del Granduca di Toscana Cosimo III de’ Medici alla Città di Siena, nota per la sua tradizione di pasticceria. Pare che i cuochi locali avessero deciso di celebrare  la visita del duca (noto buongustaio) con un dolce nuovo chiamato “la Zuppa del Duca”. Il dolce fu molto gradito e la sua fama raggiunse il Veneto dove la ricetta fu arricchita dal mascarpone, prodotto tipico dell’Italia settentrionale. Qui sarebbe anche nato il nome allusivo di “Tiramisù” poiché era considerato un ottimo ricostituente utile per ripristinare le energie spese dopo gli incontri amorosi. L’uovo ha sempre avuto questa indicazione a “luci rosse”.

Giacomo Casanova racconta nelle sue memorie che era solito bere un numero impressionante di uova crude prima di dare inizio ai suoi incontri e Alessandro Tassoni nella  “Secchia Rapita” narra che Marte, il dio della guerra, dopo una folle notte d’amore con Venere, si tirò su bevendo un centinaio (!!!!) di uova prelevate dal pollaio dell’oste.

Il conteso semifreddo sarebbe invece stato servito la prima volta nel ristorante “Beccherie” di Treviso dal pasticcere Roberto Linguanetto nel 1958, un dolce semplice da fare in un solo momento. Ebbe un tale successo che anche i pasticceri dei paesi vicini iniziarono ad andare in pellegrinaggio per assaggiarlo.

Il Washington Post invece ha annunciato di aver scovato a Baltimora l’inventore di questo dolce: un Avellinese, tale Carminantonio Jannacone, titolare della pasticceria Piedigrotta a Pontepiave. Costui sperimentò nel 1969 il tiramisù, ebbe successo e creò una azienda di semifreddi (Eurogel).  Successivamente si trasferì nella Little Italy di Baltimora. Il Tiramisù di Carmine Antonio sarebbe nato quindi undici anni dopo con l’aggiunta di Marsala. Proliferano le imitazioni con diverse varianti.  Qualcuno sostiene che la nascita del dolce suddetto (chiamato “El Sbatudin”) sia avvenuta proprio in una “casa chiusa” a Treviso, vicino al ristorante Beccherie e che serviva a ristorare gli incontri piccanti che avvenivano con le disinvolte signorine”.

Ringrazio Renzo Pellati autore del pregevole volume di 448 pagine“La storia di quel che mangiamo” (Ed. Daniela Piazza),  con il consenso  del quale ho tratto per voi il pezzo di cui sopra.

Luigino Filippi –