Da: Il Gastronauta:
“10 cose da sapere sul tartufo bianco d’Alba – Un piccolo vademecum per conoscere di più il regale fungo ipogeo
1. COS’E’
E’ un fungo non coltivabile, cresce spontaneamente in ambienti freschi e umidi, su terreni argillosi-calcarei, in simbiosi con alcune piante tartufigene: farnia, cerro, rovere, roverella, pioppo nero, pioppo bianco, salice, bianco, tiglio, carpino nero, nocciolo.
2. TRIFOLAU
Per scovare un tartufo bianco il cercatore o “trifolau” si avvale di cani addestrati dal fiuto finissimo, come bracchi tedeschi e lagotti.
3. PROPRIETA’ ORGANOLETTICHE
Il suo profumo è composto da 120 molecole volatili. A maturazione adeguata trasmette un intenso aroma che evoca l’aglio, il fieno, il miele, il fungo, la terra bagnata e le spezie. Il sapore è molto gradevole.
4. RACCOLTA
La stagione di raccolta, da calendario regione Piemonte, inizia il 21 settembre e termina il 31 gennaio. La raccolta è libera nei boschi e nei terreni non coltivati, vietata nelle tartufaie private e nelle aree rimboscate da meno di 15 anni.
5. ACQUISTO
Trattandosi di un prodotto fresco altamente deperibile, l’acquisto è possibile nello stesso periodo della raccolta. I tartufi bianchi si possono acquistare da commercianti e da cercatori abilitati provvisti di tessera regionale. Prima di acquistare il tartufo: consultate fonti attendibili sull’andamento del mercato, accertatevi che la specie sia quella richiesta, controllate il livello di pulizia e che i buchi non siano riempiti con terra, verificate che il colore non sia alterato con farina di mais, constatate la piacevolezza all’olfatto in ogni suo punto, testate il grado di maturazione.
6. POSSIBILI DIFETTI
Tra i difetti che rendono il tartufo bianco poco adeguato al consumo ci sono: maturazione insufficiente, odore sgradevole (indice di deperimento), presenza di micosi, assenza di integrità (per possibili parassiti o scalfiture derivate dalla cerca), gommosità (dovuta a poca freschezza o conservazione non corretta).
7. PULIZIA
Il tartufo bianco non si sbuccia: prima del consumo si pulisce bene con una spazzolina sotto acqua corrente, si asciuga e si fa riposare almeno 10 minuti.
8. CONSUMO
Il tartufo bianco si consuma fresco e crudo: non si cuoce, non si grattugia e non si taglia a pezzi, va affettato a lamelle sottili con un utensile specifico a lama affilatissima: il tagliatartufi. L’ideale è gustarlo con piatti semplici e poco conditi che ne fanno risaltare l’aroma.
9. CONSERVAZIONE
Il tartufo bianco fresco si può conservare in frigo a una temperatura tra i 3 e i 6 gradi, al massimo per 10 giorni. In frigo va messo in un barattolo di vetro dotato di coperchio, preferibilmente avvolto in un panno o carta assorbente. Scongelato perde tutte le sue caratteristiche. Il riso lo asciuga, nell’olio fermenta, nella salamoia perde il suo sapore e il suo profumo.
10. PREZZO
Diffidate di un tartufo bianco che costa poco e tenete conto che il prezzo nel mercato di Alba attualmente si aggira intorno ai 3.500 euro al chilogrammo; può variare da mercato a mercato e da nord al centro Italia. Troppo? Basta mettersi nell’ottica che le emozioni si pagano
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da: Cronache del gusto:
E se abolissimo l’Iva sulla vendita dei tartufi? Provocazione.
(Il tartufo bianco d’Alba)
“Ok, la lanciamo come una provocazione. Ma la questione è molto complessa. E merita di essere trattata ai piani alti. Tanto che, come confermato e come vi spiegheremo più avanti nell’articolo, se ne parlerà alla Camera entro la fine del mese.
I tartufi da sempre vengono riconosciuti come un bene di lusso. Da tutti. Status symbol per eccellenza di ricchezza. Tanto che sono tantissimi gli italiani che non ne hanno mai assaggiato uno. Sono carissimi. E questo si sa. Quest’anno, quelli bianchi d’Alba, la varietà più pregiata dell’Italia, possono arrivare a costare anche 4.000, 4.500 euro al chilo. Già… Una “grattatina” sulla pasta, in alcuni locali, viene fatta pagare 30 euro.
Ma la questione di questi prezzi va assolutamente analizzata. E qui inizia la nostra provocazione. Che si basa su tre paradossi.
Il primo: il tartufo (nome scientifico Tuber magnatum Pico) non viene considerato un prodotto agricolo. E quindi l’Iva viene calcolata al 22 per cento e non, come nel resto dei prodotti agricoli, al 4 per cento. Basta dare una semplice occhiata alla tabella con i prodotti agricoli riconosciuti e accorgersi di come alla voce fungo sia bene evidenziata la parte “eccetto i tartufi”. In Europa non funziona così. In Francia e in Spagna, per esempio, due paesi grandi produttori di tartufi, ma anche in Croazia, Slovenia, Ungheria, Romania e Bulgaria, l’Iva sui tartufi è fra il 4 ed il 5 per cento. Quindi, i produttori, possono praticare prezzi notevolmente più bassi.
Secondo paradosso: l’Iva sull’acquisto dei tartufi non è detraibile quando si compra da un cavatore. Quindi per il compratore (che deve comunque versare l’imposta senza poterla detrarre) si tratta di un costo in più. Tra l’altro, quando si acquistano tartufi da un cavatore (a proposito ce ne sono registrati in tutta Italia con tanto di tesserino 400 mila, 40 mila solo in Piemonte, ottava regione in Italia produttrice di tartufi), circa il 20 per cento (a volte meno) del peso viene perso durante lo spazzolamento dalla terra. Quindi, ad esempio, se acquistiamo un tartufo bianco d’Alba da un cavatore che ce lo venderà a 3.000 euro circa al chilo, senza Iva, e questo pesa 100 grammi, poi perderemo 20 grammi dopo averlo spazzolato, ossia in soldoni 60 euro + eventuale Iva, di sola terra. Cioè compriamo della terra a 3.000 euro al chilo. Diciamo “eventuale Iva”, perché, come confermato da molti addetti ai lavori, il mercato nero, in questo settore supererebbe – e di tanto – il 50 per cento.
Terzo paradosso: il tartufo, non essendo prodotto agricolo, non giova delle agevolazioni dell’Europa su eventuali rimboschimenti. Spieghiamo meglio questo punto. In Italia esistono nove varietà di tartufi. Di queste, otto possono essere coltivate, una, quella del tartufo bianco, no. Per le specie coltivabili, se queste fossero riconosciute prodotti agricoli, potrebbero essere richiesti fondi europei per eventuali rimboschimenti. Si sa, infatti, che sotto ad alberi specifici, le querce, i pioppi e altre varietà per esempio, crescono i tartufi.
Il settore, insomma, vive un momento un po’ particolare. Da un lato, l’annata, di qualità eccellente, è stata però scarsa. Dall’altro, su questo discorso dell’Iva, che a conti fatti, a tenere tutto così, si favorisce il sommerso e si aiuterebbe chi non vuole dichiarare il luogo di prelievo del tartufo. È il caso della tracciabilità…Del genere: posso comprare un tartufo bianco che, io cavatore, sono andato a trovare scavando nelle campagne marchigiane e me lo porto in Piemonte spacciandolo per un tartufo preso in Piemonte. Tanto non essendo prodotto agricolo la tracciabilità esiste solo sulla carta e dobbiamo fidarci di ciò che ci dice il cavatore. Se comprassimo il tartufo in un’azienda agricola con tanto di bosco annesso sarebbe forse meglio. Non ti tutela al cento per cento da eventuali frodi ma sarebbe già tutto più trasparente.
Tuttavia qualcosa si sta muovendo. E di tartufi se ne occuperà il Parlamento. Un’audizione alla Camera, sollecitata da gruppi di addetti ai lavori, soprattutto da chi si occupa di commercializzazione, si svolgerà entro la fine del mese. Un passo importante per capire se sarà possibile riconoscere il tartufo come prodotto agricolo. Sarebbe necessario un provvedimento che riveda la classificazione del tartufo ai fini fiscali. Che da solo farebbe abbassare l’Iva al 4 per cento. Noi diciamo: toglietela del tutto. Se servisse a far emergere il sommerso, alla fine per lo Stato potrebbe pure essere conveniente. E soprattutto potremmo rendere il nostro tartufo più competitivo nel mondo e forse più accessibile a tutti. ”