L’ingrediente caratteristico del risotto “alla Milanese” è lo zafferano (da non confondersi con certe “barbe fini” di barbabietola con il quale oggi viene talvolta banalmente sofisticato ). Lo zafferano è una spezia originaria della Persia, dove si chiama “zafaran”, già utilizzata dal popolo ebraico (cucina Kosher) e diffusa dagli Arabi prima in Spagna, poi in Sicilia. Come si è arrivati a chiamarlo “alla Milanese”? Secondo l’esperto in scienza dell’alimentazione Renzo Pellati (*), la leggenda e anche alcuni documenti scritti, dicono che nella seconda metà del ‘500 lavorava alle vetrate del Duomo il pittore fiammingo Valerio de Perfudavalle (detto anche Valerio di Fiandra) . Il Maestro Valerio, pur essendo abile nella sua arte, aveva un debole per i boccali di vino e sovente lasciava i pennelli al suo garzone. Costui riusciva a ottenere effetti meravigliosi con lo zafferano (un colorante allora usato soltanto in tintoria e in alcune riparazioni galeniche per attività medicamentose), per dare ai dipinti l’effetto del giallo-oro a quei tempi moto apprezzato. Per questa abitudine di usare lo zafferano, colorante giallo-oro, il garzone-pittore veniva chiamato “zafferano” e il Maestro Valerio ripeteva convinto di dire una enormità: “ Un giorno finirai per mettere lo zafferano anche nel risotto”. Quando nel 1574 il garzone sposò la figlia del Maestro, i compagni fecero al neo sposo lo scherzo di offrire riso colorato allo zafferano e la novità ottenne subito un grande successo.
Pare che sia stato un frate Domenicano, un certo Santucci, inquisitore nella Spagna di Filippi II, a portare nella natìa Aquila i bulbi di zafferano (tuttora coltivati nell’altipiano di Navelli) sfidando leggi molto severe (prigione e morte) per chi tentava di esportarli al di fuori della Spagna. I botanici chiamarono la pianta “ Crocus Sativus” in memoria del mito di Croco che, in seguito all’infelice amore per la ninfa Smilace, fu trasformato in zafferano (ancora oggi coltivato a nella greca Krokos). Oggi si sa che lo zafferano contiene un glucoside che a contatto con l’acqua libera una sostanza colorante (crocetina) che conferisce un caratteristico colore giallo che ricorda, appunto, l’oro antico nonché un particolare aroma.
Questo colpì la fantasia dell’uomo (si credeva che l’oro facesse bene al cuore) che lo utilizzò per tinture, tessuti, bevande (liquore Strega), la “bouillabaisse” francese, alcuni formaggi pecorini (come il Piacentino), la paella e… anche il Risotto alla Milanese.
(*) ringrazio Renzo Pallati per il consenso alla presente pubblicazione tratta da “La storia di ciò che mangiamo” – editore Daniela Piazza.
Se ha origini persiane, non sono arabe …