“L’uso del menu scritto su cartoncino, depliant, carta più o meno elegante, dalle forme più bizzarre si è sviluppato in Francia e poi in Italia soltanto nella seconda metà dell’800. Già al tempo degli Assiri si usava compilare la lista dei piatti del giorno che veniva trascritta su pagine di argilla. Nel banchetto di nozze di Gian Galeazzo Sforza del 1489 un anonimo milanese scrisse e stampò un “poemetto-menù”, prima “carta” dell’incunabolo. Dopo la rivoluzione Francese le antiche hostellerie, le taverne, gli auberge per i nobili, subiscono notevoli cambiamenti e si preparano ad accogliere la nuova borghesia. I servizi offerti vanno precisati, il numero dei coperti aumenta e il menu diventa indispensabile per elencare i prezzi e le portate, la successione, la dizione delle portate corredate dal nome (a volte anche la data), dal luogo e dalla specifica occasione. Nei pranzi ufficiali l’ordine delle vivande è regolato da un codice consolidato con l’esperienza dello chef incaricato.
Il celebre Auguste Escoffier, nel suo “Libro dei Menu” del 1912 scrive che il sostantivo “menu” ha due significati. Il primo è il programma del pasto, il secondo indica il cartoncino sul quale il programma è trascritto, posto davanti a ciascuno dei commensali acconto al piatto.
La diffusione del menù si è avuta quando nei pranzi ufficiali dei regnanti e dei nobili, si passò dal servizio “alla francese” a quello “alla russa”. Nel primo tutti i cibi venivano posti al centro tavola con effetto scenografico e i valletti ne servivano poi i cibi preferiti dal commensale. Tutto era sotto gli occhi di tutti e non serviva nessun elenco; ma nascevano però dei problemi in cucina per garantire il servizio anche a giusta temperatura. Nel 1810 un ambasciatore dello Zar Presso Napoleone, offre un pranzo facendo accomodare gli ospiti ad una tavola riccamente apparecchiata con porcellane, pizzi, calici, fiori, candelabri d’argento, però senza vivande visibili. Quando il padrone di casa diede ordine di iniziare il pranzo le varie portate arrivarono in tavola gradatamente, ad una ad una, in una logica successione.
Da quel momento i pranzi ufficiali seguirono questa strategia definita “alla russa” che consentiva di servire prelibatezze in tempi reali e il menu scritto diventò necessario.
I menu in Europa, nell’ Ottocento, per le classi sociali medio-alte erano scritti esclusivamente in francese (ciò succedeva anche al Casinò e nei Grand Hotel di Sanremo – ndr). In Italia la tendenza cambiò grazie a Vittorio Emanuele III che, in occasione del pranzo di gala offerto a Roma il 22 dicembre 1907, incaricò una commissione dell’Accademia della crusca e di altri glottologi, per trasformare i termini della gastronomia francese in corrispondenti termini della lingua italiana. Così il menu divento “la lista” o “la minuta”. Tuttavia ancora oggi vale il termine “menu”.
Nel tempo, pittori rinomati, esperti di manifesti e illustrazioni, compagnie di navigazione etc… offrivano in omaggio a ristoranrti e alberghi dei menu molto belli. Esiste anche un libro titolato “I Menu del Quirinale”, offerti nelle occasioni importanti dei nostri regnanti e dai nostri Presidenti della Repubblica.”
Luigino Filippi, estratto per gentile concessione dell’autore RENZO PELLATI de “La storia di ciò che mangiamo” – Daniela Piazza Editore