Italia a Tavola scrive che si moltiplicano i servizi per trasformare le proprie case, terrazze, giardini in ristoranti dove appassionati di cucina propongono le loro specialità a turisti, avventori o semplici curiosi, trattati come ospiti personali però paganti. Il web è l’ecosistema degli home restaurant: dai social ai siti del proprietario dell’abitazione alle piattaforme dedicate al social eating, canali privilegiati per la promo-commercializzazione degli eventi. Tra le più diffuse a copertura nazionale: Gnammo.com, Le Cesarine, Peoplecooks.com, Eatwith.com, Vizeat.com e Kitchenparty.org.
Si contano più di 7mila cuochi social attivi in Italia di età media 41 anni, 56,6% donna, 29,4% uomo. Inoltre, il 53,8% dei cuochi è presente su almeno uno dei principali social e il 14,9% svolge attività extra correlate al settore del food. Ben radicati in Lombardia (16,9%) Lazio (13,3%) e Piemonte (11,8%). A Milano 8,4% del totale, Roma 8,2%. 5,6 l 5,6% Torino.
Agli oltre 37mila eventi social eating organizzati nel 2014 hanno partecipato circa 300mila persone. La spesa media stimata è di 23,70 euro pro-capite.
L’incasso medio stimato per singolo evento è pari a 194 euro. Ogni cook incassa in media 1.002,51 euro all’anno.
Come inquadrare correttamente, alla luce di questi dati, il fenomeno delle nuove frontiere del gusto, dell’home restaurant e del social eating? Si tratta ancora solo di una semplice moda, di una passione per aspiranti chef, di un semplice hobby, di un momento per socializzare? Secondo il presidente di Fiepet Confesercenti Esmeralda Giampaoli: «il fenomeno ha perso il suo carattere amatoriale assumendo sempre più un approccio imprenditoriale. L’home restaurant e il social eating sono un legittimo fenomeno di mercato, ma occorre tracciare una linea di demarcazione chiara e netta tra ciò che definiamo sharing economy e ciò che invece è attività imprenditoriale a tutti gli effetti».
«Da quanto emerge da un sondaggio condotto da Swg per Fiepet sui ristoratori – continua Esmeralda Giampaoli – 9 imprenditori su 10 chiedono più regole, mentre 8 su 10 ritengono che allo stato attuale gli home restaurant sono una forma di concorrenza sleale per la ristorazione regolare, che investe tempo e denaro per avere requisiti e certificazioni richiesti per legge, a partire da quelle igienico-sanitarie, per tutelare la salute e la sicurezza del consumatore. Le nuove tecnologie e il web rappresentano una straordinaria opportunità ma senza regole adeguate si corre il rischio di spianare la strada ad una ristorazione parallela composta da un esercito di imprese irregolari che esercitano al di fuori di ogni norma e controllo. Per questo troviamo preoccupante che ci siano anche amministrazioni locali che danno supporto al fenomeno prima che si arrivi a una regolamentazione chiara».