da IlGiornaleonline:
Il terzo incomodo a tavola è spesso lo smartphone. Molti ristoranti corrono ai ripari e ne vietano l’utilizzo al motto di #stopPhubbing
Il ristorante è quello giusto, il posto sul mare è speciale e si mangia da sogno. Scatta l’invito a cena, e tutto sembra essere perfetto: è arrivato il momento per dichiararsi a lei, d’altronde più di un buon piatto e un bicchiere di vino cosa riesce a creare l’atmosfera ideale? La food experience a due sa essere indimenticabile, a una condizione: che lo smartphone resti rispettivamente nella borsa di lei e nella giacca di lui. L’email di lavoro (anche di sera), la notifica di Whatsapp, il messaggio su Facebook, la sveglia che suona all’improvviso: tutto questo distoglierà l’attenzione dal cibo e dalla compagnia. Un vero e proprio pericolo quello rappresentato dalla tecnologia a tavola, tanto che è nato un movimento: lo #stopPhubbing. “Phubbing” indica l’azione di chi, nei momenti di convivialità legati in primis al cibo, trascura una o più persone per controllare il cellulare. La piattaforma online stopphubbing raccoglie una serie di dati che danno il senso di quanto l’uso degli smartphone possa talvolta annullare il piacere di stare a tavola, e di godersi dei momenti. Percentuali che raccontano di come, in tutto il mondo, le nostre abitudini cambiano e il guardarsi negli occhi mentre ci si delizia con un piatto di spaghetti lascia il posto all’ansia social. E così la campagna contro la tecnologia per una sana food experience raccoglie consensi diffusi.
Corrono al riparo quindi i ristoranti. Stufi di vedere persone impugnare la forchetta in una mano e il cellulare nell’altra -senza rivolgersi la parola- molti proprietari di locali vietano l’uso di smartphone e tablet da quando si varca la soglia dell’entrata, fino al momento dell’uscita. Ad inaugurare l’iniziativa, il ristorante Seiobo di Sidney, seguito dal Ko di New York: qui o si mangia o si usa lo smartphone. Tante le declinazioni esistenti: Abu Gosh, ristorante arabo vicino Gerusalemme, propone l’offerta “spegni e paghi la metà”, con uno sconto quindi del 50%; il ristorante libanese Bedivere applica una riduzione del 10% per chi rinuncia al controllo social. A Dublino, presso il ristorante Al Bite, il cartello “No instagramming. Just eat” si rivolge soprattutto agli utenti di Instagram; ancora aderisce alla rete #stopPhubbing il ristorante Il Bucato di Los Angeles.
Come si comportano i ristoranti italiani? La città più vicina a questa politica è Udine, che dal 2012 prosegue la battaglia “liberi di parlare, liberi dal cellulare“. A Roma sono alcuni ristoranti della catena Un Punto Macrobiotico ad invitare i clienti a spegnere i propri smartphone. Ma in assoluto il primato in questo campo va all’Osteria di Rubbiara, nel modenese, dove le regole sono quanto mai ferree. Qui, infatti, il cellulare va depositato in un apposito armadietto chiuso a chiave e si potrà riprendere il proprio smartphone solo all’uscita. I ristoranti antismartphone rinunciano quindi anche ad un eventuale lato “positivo” che i social possono fornire: taggarsi, scattare una foto di un piatto, innescare un passa parola è, ora, la pubblicità migliore per un locale. E invece no, meglio invitare a godersi la cena, le chiacchiere, il cibo, magari anche il silenzio senza far cadere l’occhio sullo schermo. La food experience assume così un altro sapore, quello della convivialità, che solo la tavola sa regalare.
Certo, il gesto di riporre il cellulare in borsa per tutta la cena dovrebbe essere una scelta spontanea e non il frutto di un divieto. D’altronde, se si guarda di continuo lo smartphone due sono le possibilità: o il partner non è quello giusto, oppure abbiamo scelto il ristorante sbagliato.
[Credits foto cover: explosivewoman.com]