Stanno per giungere in zona, in tournée di lavoro, tre chef reputatissimi, che tutti abbiamo avuto modo conoscere in TV. Personaggi la cui incredibile maleducazione e violenza verbale verso i concorrenti è tranquillamente subìta dalle vittime e verso la quale pochi ascoltatori si sono indignati…
Andai tre anni fa da uno di loro, inviato da un editore per una recensione del ristorante. La scrissi di getto ma poi, non considerandola serena, non la inviai e pregai l’Editore di mandare qualcun altro al posto mio.
Casualmente l’ho ritrovata oggi e, parendomi quasi una “confessione”, tutto sommato, voglio condividerla con le affezionate Bucche Sernue, così come l’avevo scritta, senza altri commenti.
TOPPANO ANCHE I “TOP”
(e magari neppure si scusano)
Il navigatore, per un’ora mi ordina: “ Fare una inversione a U legale”. Forse indica il percorso più breve, che attraversa un passo di oltre 1.000 metri di altitudine? Resisto ad ignorarlo e, “duro e sordo”, proseguo lungo il placido fondovalle sino a raggiungere questa bellissima ampia struttura, eclatante ed insolita, che lascia a bocca aperta: è un ristorante classificato TOP da tutte le Guide.
Oltrepassato il cancello trovo un po’ di belle auto e intuisco che oltre l’angolo della supercostruzione dev’esserci posto. Proseguo lentamente mentre l’addetto (forse ai bagagli ?) mi guarda da dentro l’hotel con un certo stupore, ma ineffabilmente estraniato e stranito, resta dentro e non muove un passo… . Mi arrangio, scendo, misuro il passaggio tra il fabbricato e un SUV “messo” alla kissene, risalgo e lentamente concludo il parcheggio.
Alla reception, confermano la mia prenotazione al ristorante e mi guidano prontamente al mio tavolo. E’ un mercoledì, sono le 21 ed è rimasto l’ultimo dei sette tavoli: è il nostro; che bellezza, qui staremo tranquilli. Ci rallegriamo per il fascino dell’insieme, dai ricchi ma leggeri tendaggi bianchi, le luci strategiche, le stoviglierie e cristallerie di pregio su tovaglie stirate al tavolo senza piega, tutto perfetto.
Una simpatica cameriera ci dà il benvenuto e ordiniamo l’acqua e, mentre lo sguardo corre ancora agli stucchi dorati, alle enormi vetrate ottocentesche, all’eleganza dell’insieme e dei clienti.
Ma ecco che dal fondo della veranda, procedendo lentamente e con una certa cautela, c’è un secondo arrivo: un invitante carrello con spumanti e Champagnes: “Desiderate un aperitivo”? – “No, prenderemo direttamente delle “bollicine” per tutto il pasto” – “Ah, benissimo, allora le faccio portare SUBITO la carta vini”.
Giunge poi il direttore di sala che ci illustra una carta cibi assai tentatrice, mentre i nostri coperti vengono attorniati da uno stuolo di apetizer da occupare l’intero desco. Sono coreografici piattini e mia moglie mi accenna: “La linea di un ristorante si manifesta già con il “preludio” degli apetizer” – “Ma via, aspettiamo il vino e vedrai che saranno anche buoni”.
Settima e ultima comparsa: è la Patronne che viene ora a fare gli onori di casa e, con estrema gentilezza, “frullandoci” brevemente altre cortesie di maniera, si assicura che tutto proceda al meglio e si ritira con discrezione.
Passiamo il tempo facendo qualche foto dal tavolo all’ambiente (senza flash, ovviamente) e, perché no, anche alla carta; ci versano l’acqua chiedendoci con amabile humor: “Spiate?” – “Ma no! Porteremo a casa il ricordo del vostro famoso ristorante!”
E’ passata ormai mezzora dal nostro arrivo ed ecco che il Direttore di sala torna a prender l’ordine: Cubo di vitella di Boves con caviale, salsa di ostrica, gremolada e cipolla rossa marinata a € 48; spaghetti all’astice Blu di Bretagna a € 65; due branzino con brodetto di scampi, cipollotti e polvere di capperi a € 50.
Ultimo arrivo: il sommelier che ci porta, al momento “canonico”, le due carte vini, un volume per i bianchi ed uno per i rossi. Le etichette sono mirabolanti e tentatrici ma fatturate assai duramente; d’altra parte siamo in un piccolo Nirvana… Ma ecco che, leggendo da destra a sinistra, scoviamo un prezzo meno “dissuasivo” rispetto al resto della carta: un Billecart Salmon Rosé NM a 75 euro. In un altro stellato l’ultima volta l’abbiamo pagato più o meno lo stesso prezzo: è il nostro.
Passa un’altra mezzora (ormai un’ora dal nostro ingresso) e, dopo i descritti viavai al nostro tavolo, ci permettiamo far cenno che sono le 22 …, ma non era necessario: i piatti stanno arrivando con i puntuali rammarichi per l’attesa, giustificataci con i tempi di cottura degli spaghetti. E’ il momento del piacere: da questo momento la cena scorre ai ritmi giusti, con servizio inappuntabile, le portate (quella di carne in verità di soli tre bocconi) sono di qualità degna della fama della casa e, grazie alla materia prima ineccepibile e all’ equilibrio dei dosaggi e delle cotture, viene esalta alla perfezione questa cucina che, persino negli spaghetti all’astice Blu di Bretagna, ricorda piacevolmente i colori e i profumi di Posillipo.
Al caffè (buono) ci “sommergono” di “mignardises” tentatrici, che lasciano anch’esse il ricordo.
La sosta volge al termine e, ancora nel sogno della serata, paghiamo senza controllare il conto ma poi, con repentino risveglio, spulciamo gli addendi.
Ahinoi il vino ci è stato fatturato al doppio del previsto: 150 euro anziché 75. Lo facciamo presente. Il Direttore ci informa che 75 era il prezzo della mezza bottiglia e, al nostro:
– “Sarà, allora ci scusi,vabbè” –
– lui incalza: “Ma noo, controlliamo in carta” Ma poi: “Oibò! In carta la bottiglia intera è indicata per errore 75 , che era invece il prezzo della mezza bottiglia… – Scusi, ha sbagliato il tipografo…e la pagherà ”
– “Heilà, ma in questi casi è l’oste che soccombe e il cliente che “gode”… !”
– “ Ma no! Ma via! Abbia pazienza, ormai abbiamo fatto fattura… ma Le promettiamo una “riparazione” la prossima volta quando tornerà da noi… ”
Lascio il mio biglietto da visita al Direttore di sala ineffabilmente sorridente che, incredibilmente neppure chiama Patron Chef che passeggia una decina di metri in giardino nel fine serata, stellato…
Salgo in macchina con calma e concludo così una serata in uno dei ristoranti TOP d’Italia, guastata sul finale da una cafonata non rimediata neppure da una telefonata “riparatoria” l’indomani.
Luigino Filippi